lunedì 25 febbraio 2013

Io contro tutti.



Le mie amiche si sono schierate in due diversi gruppi. C’è chi mi scrive, preoccupata, chiedendomi quando sarà il mio ritorno in Italia e termina dicendo “perché mi sembra che ti stai trovando piuttosto bene là” e chi, invece, mi incita a rimanere qui “perché sei giovane, un’esperienza così non ti ricapiterà e avrai molte più opportunità là che in Italia”. La più preoccupata è S., che teme fortemente il mio non ritorno e si dice addirittura incuriosita di capire come io mi sia adattata in questo marasma di gente. Non c’è una volta che tra i vari messaggi si scordi di inviarmi “ma quando torni?”. La sento proprio spaventata e incredula che dal piccolo paesino dal quale sono partita, sia riuscita a trovare la mia dimensione in una metropoli della portata di Londra. Ma da lei me lo aspettavo perché, premurosa come è, non poteva certo brindare dopo il mio annuncio di aver prolungato la mia permanenza qui. Non dimentichiamoci che lei è la stessa che ogni volta che andavo a Roma da Lui, voleva il messaggino al mio arrivo, un semplice “tutto ok” che però mi evitava la sua telefonata preoccupata. Poi c’è G. che invece mi scrive continuamente “sei una grandeeeeeee” e non smette di ripetermelo, incitandomi a rimanere il più possibile perché “mica capita tutti i giorni questa esperienza, poi quando ci saranno marito-lavoro-figlioli vedrai non la farai più”. Figuriamoci se, matta come è, poteva dirmi il contrario. Ma, il mio primo sostenitore è mio cugino, che mi sprona insistentemente a godermela tutta ma non ha ancora capito che quando torno a casa la sera dal lavoro sono disintegrata e che posso seguire il suo suggerimento solo nei giorni di festa. Poi c’è mio fratello che, invece, è preoccupato perché ha paura che mi stanchi troppo al lavoro e, prendendomi in giro, mi dice che se avessi in mente anche di imparare lo Spagnolo potrei andare un quattro-cinque mesi a Barcellona a farmi un altro po’ di culo per ristoranti vari. Inoltre c’è anche chi mi invia la foto del panorama visto dal mio paese, come se mi volesse ricordare ciò che, in realtà, non potrei mai scordare in qualunque posto del mondo io fossi.


E io che di risposta invio una vista decisamente più British.


Insomma quando sento i miei amici passo il tempo a tranquillizzare chi teme il mio non ritorno e a placare le incitazioni di chi mi vuole far rimanere a Londra. Tuttavia, sò quali sono le mie intenzioni, questi mesi qui mi hanno portata ad avere un’idea piuttosto chiara dei miei progetti futuri. Che non è detto che poi si realizzeranno, ma almeno ci proverò. Per cui difficilmente verrò condizionata da tutti questi pareri che, seppure utilissimi, sono inevitabilmente influenzati da legami affettivi che non rendono oggettivo il consiglio.



martedì 19 febbraio 2013

Un cliente del tutto eccezionale.


Il manager: “Puoi lavorare fino a chiusura stasera?”
Io: “Va bene”.
Il manager: “So che sarebbe il tuo giorno off, ma puoi lavorare anche domani sera?”
Io: “mmmm va bene, se necessario”.

Se la prima richiesta non mi ha scombussolato alcun piano, la seconda si. Eccome. Perché avrei dovuto avere due giorni di festa, ovvero sabato e domenica, e sarebbe arrivato Lui. In questo modo, invece, la sera del sabato avrei lavorato. Dopo aver sbuffato non poco, mi sono dovuta mettere l’animo in pace, perché così era stato deciso. E quando si tratta di lavoro, c’è poco da prendersela. Anche perché qui fanno presto ad assumerti, ma altrettanto poco ci mettono a lasciarti a casa. Per cui, un motivo del genere non poteva assolutamente essere una buona carta da giocare per dirgli di no. A risollevarmi leggermente ci ha pensato Lui. La sua idea di venire a cena con altri amici nel locale dove lavoro mi ha resa contenta di fargli conoscere anche questa parte della mia vita qui a Londra, il mio lavoro, i miei colleghi e l’ambiente in cui passo buona parte della giornata.
Così, quella sera, appena sono arrivata al ristorante ho prenotato subito un tavolo per loro. Ad un certo punto, mentre stavo lavorando, sono capitata vicino alla vetrata e con la coda dell’occhio ho notato qualcuno fuori che mi stava osservando. Ho alzato lo sguardo e ho visto Lui che, con un accennato sorriso sulle labbra, aveva gli occhi puntati su di me. Mi ha subito fatto l’occhiolino, come a dire “ehi sono qui, ti sto vedendo” e io ho percepito all’istante un leggero brivido di emozione. Non mi aveva mai vista in quella veste, per cui è stata sicuramente una sorpresa per Lui. Ma lo è stata anche per me, vederlo li seduto al tavolo e servirlo come se fosse un cliente qualsiasi era una situazione nuova, strana ma piacevole. Quando ad un certo punto dei clienti al tavolo vicino mi hanno chiesto delle cose e ci siamo messi a chiacchierare, Lui, che era girato di spalle, ha spostato la sedia e si è messo in una comoda posizione per assistere e monitorare la mia conversazione in inglese. 


Ora, però, vorrei comunicarvi il motivo per cui mi hanno chiesto di lavorare. L’ho capito soltanto la sera, arrivando al lavoro e non trovando una mia collega con cui avevo lavorato anche al turno del pranzo dello stesso giorno. Praticamente il manager, appena finito il sevizio, le aveva comunicato che era stata licenziata. Perché? Perché aveva fatto tardi al lavoro, invece di timbrare alle 12, ha timbrato dieci minuti dopo. E siccome non era stata la prima volta ma era risuccesso, lui ha deciso di licenziarla. Quindi io avrei dovuto coprire il suo turno. Ora, per carità, la puntualità è importante. Tuttavia, era una ragazza molto brava nel lavoro, sapeva stare ovunque e a me ha insegnato tanto quando ho iniziato a lavorare in questo posto. Per cui mi dispiace.
Questo è il rigore che c’è in questo paese, ma questo stesso rigore è forse la chiave che fa funzionare meglio le cose.


venerdì 15 febbraio 2013

Città - Paese: 1 - 0



Sono nata e vissuta in un piccolo paese. Il classico posto dove ci si conosce tutti. Ho sempre pensato di voler vivere lì la mia vita, o comunque in dintorni non troppo lontani. Il vero motivo di questa mia forte convinzione è unico, sebbene spesso abbia spiegato la cosa con molti perché. “Perché voglio vicina la mia famiglia”. “Perché è una realtà tranquilla”. “Perché adoro questo posto”. “Perché voglio stare al mare”. “Perché mi piacerebbe che i miei futuri figli crescessero in questa realtà”. Ero così convinta che di fronte ad un’eventuale trasferimento altrove mi prendeva l’ansia. Non che non sia mai uscita di casa prima d’ora, perché ho studiato fuori, però un conto è vivere altrove e sapere che sarà per un periodo e un conto è decidere di organizzare stabilmente la propria vita in un’altra città. Ecco, io sapevo che ero soltanto un’ospite in quella città, che quello era il posto in cui studiavo ma non la “mia” città. In realtà, uno e soltanto uno è il motivo che spiega il mio storico e categorico no ad un eventuale trasferimento: la famiglia. Il pensiero di vivere distante dai miei mi prendeva male, malissimo. Poi ho capito che rifiutare a priori qualsiasi esperienza, quindi anche quella di vivere fuori casa, mi avrebbe portato solo a rimpianti. Rinunciare a una cosa, senza neanche averla provata e conosciuta, non rientra nelle mie corde. Cosi, ho deciso che una chance me la sarei data. E me la darò anche in futuro. 
Questo mio ossessivo desiderio aveva inevitabilmente influenzato anche le scelte della persona che ho accanto che, di fronte alla possibilità di tornare dalla città in cui lavorava, ha lasciato tutto ed è tornato. Per un tentativo, perché poi questa stessa città dopo soli sei mesi lo ha visto ritornare, stavolta più deciso e più forte, perché sostenuto anche da me. Si, avevo deciso che ci avrei provato. Un'opportunità me la sarei data. Oggi, ne sono più che convinta. Non tanto di quella città, ma della città in generale. La trovo stimolante. Il mio carattere è decisamente compatibile con le caratteristiche di un ambiente grande, che per molti possono essere pregi e per altri difetti. Chiaramente il “problema” famiglia rimane irrisolto e ci sarà, però penso di poter riuscire a trovare un giusto compromesso di vicinanza-distanza. Il che significa che prevedo trasferimenti facilmente raggiungibili. Ai posteri l’ardua sentenza.

sabato 9 febbraio 2013

Break riflessivi.


Se ne parlava ieri con F., la mia amica conosciuta al corso di Inglese. Mi ha raggiunta per un caffè durante il mio break tra un turno e l’altro di lavoro e ci siamo messe a chiacchierare sull’utilità di questa esperienza che stiamo facendo. 

Caffè alla nocciola.

Lavorativamente parlando, e quindi lasciando da parte il valore aggiunto che questa apporta a livello personale, quanto può contare? Quanto può fare la differenza? Aprirà porte che altrimenti sarebbero state chiuse oppure no? Non che voglia diventare l’amministratore delegato di chissà quale azienda, chiariamoci, mi basterebbe un posticino da qualche parte ma, a quanto pare, oggi è difficile trovare anche questo. E, quindi, più assortito è il curriculum e più speranza c’è. Poi, di certo sono una persona piuttosto ambiziosa e, di conseguenza, mi piacerebbe poter lavorare in un ambiente stimolante e gratificante. Comunque, parlando proprio di questo, riflettevo su quanto influisce la mia emotività in fatto di “prove”. Se la posta in gioco è qualcosa che mi interessa relativamente, io emergo perché sono tranquilla, spigliata e quindi le mie caratteristiche si fanno conoscere senza essere sopraffatte e offuscate dall’ansia. Ma quando sono di fronte ad una prova per un qualcosa che mi interessa, come appunto potrebbe essere un colloquio di lavoro per un posto che desidero, non riesco a rimanere razionale, mi agito. Anche se poi riesco ad affrontarlo, perché so che devo mettercela tutta e quindi tiro fuori la grinta. In questo ammiro molto Lui, perchè può avere di fronte chiunque ma rimane apparentemente tranquillo, riesce a gestire molto bene le situazioni. Mi ricordo ancora quella volta che fu chiamato per presentarsi all’ultimo colloquio per entrare, eventualmente, nell’azienda in cui attualmente lavora. Praticamente per accedervi dovevano essere superati tre diversi colloqui, l’ultimo dei quali prevedeva il confronto con l’amministratore delegato. Il tutto si sarebbe svolto a Roma. Arrivati sotto la sede della società mi chiese di salire con Lui. Io gli dissi che non era il caso e che in questa circostanza la presentazione in coppia, forse, non era opportuna. 
Io: “cosa ci entro io? Ti vedano entrare con me, poi cosa gli diciamo? Ti aspetto qui”. 
Lui: “ma cosa vuoi che gliene freghi se ci sei anche te? Aspetti in sala d’attesa, mica fai tu il colloquio al posto mio. Forza andiamo”. 
Mi convinse e salii con Lui. Si entrò e, per tagliare la testa al toro, con un “avevo paura che me la rubassero, così l’ho fatta salire” ruppe subito il ghiaccio con l’A.D. che, a quel punto, gli chiese se avessimo fatto un giro per Roma e dove fossimo stati. Io??? Sconvolta. Perché con quella spontanea frase era riuscito a trovare un motivo di “conversazione” con l’amministratore delegato e a creare una situazione meno formale. Io, invece, non sarei riuscita a essere ironica in quella circostanza. Lui sostiene che piano piano mi “ammorbidirò” e la mia rigidezza è dovuta solo alla poca esperienza. Probabilmente sarà così. Devo dire che rispetto a qualche anno fa sono molto migliorata e questo è stato possibile grazie all’università perché mi ha portata necessariamente a espormi, a confrontarmi e ad acquisire molta più sicurezza nelle mie capacità personali. Per me il problema non è gestire la situazione quando la conosco, chiaramente, ma è affrontare l’imprevisto. Che può essere nell’ambito di un colloquio di lavoro, nell’ambito di una discussione di laurea, nell’ambito della vita in generale. Per esempio, tempo fa la mia relatrice mi chiese la disponibilità circa la presentazione della mia tesi di laurea ad un seminario. Da un lato ne fui onorata, dall’altro andai nel panico e immediatamente le chiesi: “ce la farò a preparare tutto in così pochi giorni?”. Considerando che tutto era già pronto, bastava solo ampliare e riorganizzare la presentazione, lei sorridendo mi disse: “la prima volta che tenni un corso all’università mi servirono giorni e giorni per preparare la prima lezione. Soltanto quando fui costretta a presentare qualcosa in tempi dettati dal mio capo imparai il trucco. La sicurezza. Non serve riguardare le cose cento volte, sai già tutto perché è un lavoro che hai fatto tu”. Tendenzialmente non sono una persona insicura, anzi. Piuttosto, tendo ad essere troppo esigente con me stessa e, quindi,  poco flessibile. Questo è un mio limite. Perché non vedo la mezza misura. Inoltre, la mia impulsività condisce il tutto in maniera piuttosto saporita. Lui è decisamente più razionale di me. Qualche giorno fà, per esempio, mi è successo che il giorno dopo aver pagato l’affitto mi sono accorta che dal conto era stato scalato due volte. Imprevisto? SI. Reazione immediata? PANICO. Reazione non-immediata? CALMA APPARENTE INDOTTA DA LUI. Dovevo aspettare che aprisse l’agenzia, ovvero dovevo aspettare le 10. Erano ancora le 9 e quell’ora l’ho passata a pensare come maledire quelli lì. Lui: “Prima di riportargli questi francesismi, spiegagli la cosa con calma e chiedi spiegazioni. Sono cose che possono succedere, figurati se non ti rendono i soldi”. Chiamo e, magicamente, la cosa si risolve in 2 minuti, con tanto di scuse da parte dell’agenzia. Io mi ero già agitata, Lui prima di agitarsi aspetta una giusta causa. Comunque, considerando che sono qui da sola e di imprevisti dall'inizio di questa esperienza ce ne sono stati e che io li ho affrontati più o meno a sangue freddo, si direi che sono decisamente migliorata.