giovedì 26 settembre 2013

Cambio di rotta.




Mentre c’è sempre più da fare perché la data del trasloco è ormai imminente e noi siamo ancora in alto mare perchè il tempo per dedicarcisi è troppo poco, io continuo a rivoluzionare la mia vita, come se tutto questo trambusto non bastasse.
Qualche giorno fa ero in ufficio quando sono stata contattata dalla direttrice del personale di un’azienda alla quale avevo inviato il mio curriculum tempo fa. Non potendo parlare molto, essendo per l’appunto sul posto di lavoro, l’ho ascoltata a grandi linee chiedendole poi di poterla richiamare successivamente. A discorsi fatti, ho valutato l’offerta che mi è stata proposta, mi sono confrontata con le persone a me più care e, alla fine, ho deciso che ci avrei voluto provare e che, per questo, sarei stata disposta a lasciare quel posto di lavoro che pochi mesi fa accolsi a braccia aperte. Il motivo determinante che mi ha spinto verso questa decisione è stata la maggiore validità di questa offerta, sotto tutti i punti di vista. Inoltre, dove lavoravo (si, mi sono licenziata) nel momento in cui fui assunta mi venne chiaramente detto che una volta terminato il progetto mi avrebbero mandata a casa. Quando sono andata a comunicare al mio capo le mie intenzioni di licenziamento, mi è stato detto che ho preso una decisione troppo affrettata ed errata, perché non ho valutato la possibilità di collaborare con loro in futuro. Ho prontamente replicato dicendo che le sue parole furono chiare: per me lì non ci sarebbe stato posto, al termine del contratto. Lui ha sostenuto che io non ho considerato che in questo tempo le cose potrebbero essere cambiate. Peccato che a me nessuno ha mai fatto percepire il contrario. In ogni caso, nonostante mi sia trovata bene con loro, credo che avrei comunque colto quest’altra opportunità.
Sono già nella nuova azienda, ho un nuovo ufficio e nuovi colleghi. Sono all’inizio della mia esperienza lavorativa e non voglio chiudermi nessuna porta, ora che ancora posso. L’eccitazione di questo nuovo inizio è avvolta dal timore dell’affrontarlo, ma io sono pronta a farlo.

venerdì 13 settembre 2013

Quando la paura fa troppo rumore.


Quando ero ancora a Londra, una mattina, come sempre prima di andare al lavoro, chiamai mia madre. Immediatamente sentii che il suo tono di voce non era lo stesso di sempre, era cupo e tremolante. All’istante capii che era successo qualcosa. Quel giorno suo cugino sarebbe dovuto diventare padre. Con un cesareo programmato sarebbe dovuta nascere la sua bambina. Tutto era pronto per accogliere la prima piccolina di casa, una cameretta completamente pitturata di rosa e una culla con scritto il suo nome aspettavano soltanto il suo arrivo. Lo sfarfallio nello stomaco si faceva sempre più insistente perché il grande giorno era finalmente arrivato e l’attesa, durata nove lunghi mesi, ormai era giunta al termine. Tuttavia, quella mattina l’eccitazione di quei genitori pronti e impazienti di abbracciare la propria figlia è stata presto interrotta dal dolore più assordante. Quel piccolo cuoricino, che sarebbe dovuto rimanere nella pancia della sua mamma ancora per pochissime ore, aveva smesso di battere. Alle porte della vita, uno splendore di 3,7 kg è stato portato in cielo. L'immensa felicità di una famiglia che si stava per allargare in pochi istanti ha lasciato il posto al buio più totale, al baratro più profondo.
Questa mattina ho saputo che quella mamma, che ha voluto il nome della sua bambina marchiato sulla pelle, è di nuovo in attesa. Stavolta però serve silenzio, come credo sia comprensibile, perché la paura di arrivare al parto fa troppo rumore e impedisce alla felicità di accompagnare la gravidanza.

venerdì 6 settembre 2013

Ma davvero?


Fino a poco tempo fa, precisamente fino al mio trasferimento a Roma, immaginavo spesso con gli occhi sognanti il giorno che sarei venuta qui e avrei potuto vivere con Lui la quotidianità. Spesso mi chiedevo quando sarebbe arrivato questo momento e ogni volta  la strada per raggiungerlo mi sembrava infinita. Ecco è arrivato, finalmente, ma ancora non mi rendo conto che questa sarà la normalità, forse perché per  adesso non ci siamo sistemati bene, siamo un po’ accampati, proprio come se qui fossimo solo di passaggio. Tra poco, però, avremo una casa tutta nostra. E me lo ripeto e la guardo e scegliamo insieme i colori e le cose ma ancora non me ne rendo conto. Ma davvero? A quanto pare sta succedendo davvero e a me sembra tutto così incredibile. 
Roma è bellissima, ma questo lo sapevo già e, dopo Londra, sapevo anche che la vita di città mi sarebbe piaciuta. Ero abituata ad un paesino piccolo in cui i ritmi sono decisamente più lenti e, a mio parere, meno stimolanti di quelli che si trovano qui. Tuttavia, poter ritornare nella tranquillità della mia terra tutte le volte che voglio è molto piacevole e rilassante e mi fa cogliere e apprezzare degli aspetti che prima erano coperti dall’abitudine annoiata di quel luogo. La vita in città è diversa in tutto e per tutto, ovviamente. E' piacevole scendere sotto casa e trovare negozi di tutti i tipi che prima per raggiungerli mi sarei dovuta spostare in qualche altro paese più o meno vicino. Tipo, a casa mia in Toscana l’Ikea più velocemente raggiungibile dista 2 ore e, ecco, non è proprio comoda. Qui a Roma, invece, ce l'ho a portata di scooter. Ieri, nonostante sia uscita dal lavoro alle 19.30, sono andata all’Ikea. Poi il fatto che io non guidi lo scooter è un dettaglio. O meglio, l'ho sempre guidato, ma qui il traffico si fa sentire e io non mi sento molto sicura e, almeno per il momento, mi muovo con la metro anche perchè ce l'ho sotto casa e mi porta a due minuti dal lavoro. Lui, invece, sfreccia tra una macchina e l’altra come se nulla fosse e io, ovviamente, ne approfitto per farmi scarrozzare all’Ikea (e non solo). 


martedì 3 settembre 2013

La febbre del venerdì sera.



Proprio l’altra sera chiacchieravo con una mia amica, prossima alla laurea, sul confronto tra la vita universitaria e quella lavorativa. Lei sostiene fortemente di preferire la prima alla seconda “perché all’università ti organizzi come vuoi, sei tu a stabilire i ritmi e hai più tempo libero”. Infatti, ha cercato di posticipare il più possibile il momento della laurea per godersi di più il periodo universitario e rimandare al domani quello lavorativo. Personalmente, ritengo invece che i ritmi universitari siano ben definiti, chiaramente possono o meno essere rispettati ma se si decide di farlo serve molta volontà e determinazione perché perdersi, rimanere indietro e dire “poi lo farò” è molto più facile e scontato di quanto sembra. Lo studio, se svolto seriamente e non come passatempo tra una serata e l’altra, non lascia molto tempo libero in più rispetto a quello che si ha lavorando. Per quanto mi riguarda, ho sempre studiato con motivazione e con estrema responsabilità, nessuno mi ha mai costretta sui libri e la scelta di proseguire gli studi dopo il liceo è stata mia. Durante il periodo universitario non mi sono concessa molto, sono sempre stata rigida con me stessa e ambiziosa, difficilmente ho distorto lo sguardo dall’obiettivo anche quando, al primo anno della specialistica, mia madre perse il lavoro. Decisi di non rimanere a guardare i sacrifici dei miei genitori, ma di collaborare, sebbene per loro i miei studi siano sempre rimasti al primo posto e non sarebbero mai stati sacrificati. Effettivamente, però, di tempo libero ne avevo poco, molto poco. Forse è anche per questo che adesso apprezzo tantissimo il fine settimana off. Arrivo al venerdì sera con la stessa adrenalina di chi sta per partire. In realtà sono sempre qua, divisa tra Roma (dove lavoro) e la Toscana (dove vive la mia famiglia). Ma il week end, per me, è piena goduria. Finalmente posso scegliere come trascorrerlo, posso programmare qualcosa da fare che mi piace o, semplicemente, posso cazzeggiare. Per questo motivo, mentre vorrei fare mille cose e progettarne altrettante, mi trovo ad apprezzare un sabato pomeriggio di chiacchiere infinite sul divano di casa svincolata della necessità di guardare l’orologio.